Sa die de sa Sardigna è la giornata dell’orgoglio sardo, del riscatto sociale e della cacciata dei Piemontesi: un giorno di risveglio dal dominio sabaudo che ancora rimane impressa nei cuori e nei ricordi di tutto il popolo sardo.
La festa, istituita nel 1993 con la Legge Regionale n.44 del 14 Settembre 1993, è detta anche “Giornata del popolo sardo” o “ Sa die de s’acciappa“.
Sa die de sa Sardigna celebra la cacciata da Cagliari del vicerè piemontese Vincenzo Balbiano e dei funzionari sabaudi in seguito alla sommossa dei vespri sardi del 28 Aprile 1794.
Lo scenario storico: la Sardegna come una colonia sabauda
L’amministrazione piemontese della Sardegna iniziò tra il 1718 e il 1720, quando Vittorio Amedeo II, Duca di Savoia, ricevette il Regno di Sardegna in cambio del Regno di Sicilia.
L’insofferenza verso il trattamento riservato ai Sardi dai Piemontesi che, per ordine reale, escludevano il popolo da qualunque partecipazione alla vita politica e attività in ambito amministrativo generò un tale malcontento tra la popolazione da diffondere in tutta l’isola sentimenti rivoluzionari.
Anche la concomitanza con gli eventi rivoluzionari francesi contribuì ad accendere gli animi di un popolo già fin troppo oppresso, ma ciò che rese consapevoli i Sardi della situazione inaccettabile in cui vivevano fu rafforzata dalla resistenza opposta al giovane Napoleone Bonaparte quando, nel 1793, attaccò la Sardegna lungo due linee, il Cagliaritano e l’arcipelago de La Maddalena.
I Sardi sventarono il piano di conquista francese e in cambio chiesero di accedere alle cariche pubbliche, di creare un Consiglio di Stato a Cagliari e d istituire un Ministero per gli affari della Sardegna a Torino.
Fu proprio il diniego opposto dal re, tramite il vicerè Balbiano, ad accendere la miccia che scatenò i moti rivoluzionari.
L’insurrezione e la cacciata dei Piemontesi
L’arresto di Vincenzo Cabras e Efisio Siotto Pintor, a capo delle proteste, scatenò “sa die de s’acciappa“, cioè il giorno della cattura: 514 funzionari piemontesi, insieme al vicerè Vincenzo Balbiano furono rastrellati dai Cagliaritani, stanati negli uffici, nelle case e per le strade e condotti al porto di Cagliari, per essere poi imbarcati.
Lo stratagemma per riconoscere i piemontesi fu semplice e degno dell’arguzia dei Cagliaritani: solo un autoctono, avrebbe saputo pronunciare correttamente la parola “cixiri” , ovvero ceci, senza incespicare. “Nara cixiri” ( letteralmente: “dì ceci”) era la provocazione rivolta allo straniero, incapace tanto di capire, quanto di rispondere.
Giovanni Maria Angioy: da alternos a rivoluzionario
Grazie all’esempio di Cagliari, la popolazione di Bono, Sassari e Alghero si sollevò contro le cariche amministrative piemontesi sparse per la Sardegna: fu così che Giovanny Maria Angioy, magistrato presso la Reale Udienza partì come “alternos”, per sedare la protesta e lo scontento dei paesi interni della Sardegna.
Man mano che Giovanni Maria Angioy attraversava l’isola, crebbe in lui la consapevolezza delle ragioni del popolo e la legittimità delle rivendicazioni: incontrò un popolo vessato dai soprusi e trattato come una colonia, senza diritti e senza voce.
Partito da Cagliari come rappresentate del Governo, si trasformò in un sostenitore degli oppressi e in leader rivoluzionario.
Sulla sua testa fu messa una taglia di 3000 lire sarde.
Con il sostegno della popolazione dell’interno dell’isola, Giovanni Maria Angioy marciò su Cagliari, dove sperava di poter contare sulla partecipazione della città per reclamare la fine dell’oppressione del popolo e rivendicare una nuova autonomia amministrativa e politica per la Sardegna.
Ma la sua corsa terminò ad Oristano, dove sfuggì alla cattura da parte del governo sabaudo. Riparatosi a Santu Lussurgiu, fu grazie all’intervento dei cavalieri di Scano Montiferro, che lo travestirono e lo scortarono fino a Porto Torres, che riuscì a scampare alla cattura per raggiungere Torino.
In realtà non arrivò a Torino, come nelle sue intenzioni, e dovette riparare in Francia, dove morì.
Fallì così la rivoluzione sarda, lasciando l’isola sotto la dominazione sabauda. Ma quel giorno, quel 28 aprile, rimane per tutti i Sardi un simbolo di orgoglio, di unità e di risveglio.